Celeste Chiappani Loda

Lungo il binario - Rubrica culturale

Maga Zenobia

Magia e religione. È ancora insoluto il problema cronologico: è nata prima l'una o l'altra? Se uno stolto presumere e l'ignorare l'esistenza di grandi studiosi davanti ai quali mi inchino (J. G. Frazer, L. Thorndike, M. Mauss, B. Malinowski e tanti altri) mi venissero in soccorso, direi che magia e religione sono le due facce della stessa medaglia; nate quindi contemporaneamente e spontaneamente in una commistione inscindibile dapprima, suddivise poi nel tempo con il diversificarsi delle civiltà, delle culture, dello stato socio-politico delle varie popolazioni. Ma non potendo suffragare con solidi supporti questa ipotesi dalle fragili radici piantate nel mio immaginario, dirò che secondo me magia e religione sono due fenomeni cumulabili.

Sintetizzando ciò che troviamo nell'Enciclopedia Universale Fabbri, abbiamo le seguenti due definizioni: la religione si fonda su un assoluto immaginato (Dio) ed ha carattere impetrativo, volendo propiziarselo; la magia invece cerca di influenzare le potenze sovrannaturali che governano l'universo.

Sappiamo che la magia si divide in bianca e nera; bianca quando si rifà alle potenze celesti operando il bene; nera quando si rifà alle potenze demoniache (vedi occultismo, stregoneria).

Forze sovrannaturali dunque, nel bene e nel male, che l'uomo cerca, inventa, crede di scoprire nell'oggettivo e nel soggettivo, proprio perché di tutti, in modo più o meno profondo, lacerante è l'assillo di trovare un punto fermo su cui fissare lo sguardo durante questo insensato cammino che ha nome vita.

Ma mentre la religione è accettazione in vista di un premio finale perché deriva da una certezza (imperniandola su un fulcro fideistico si dovrebbe chiamare convinzione e non certezza), la magia, pur riguardando la sfera della speranza e della paura – che in ultima analisi è la stessa sfera della religione, tanto che un credente ricorre tranquillo a cartomanti, a maghi e quant'altro – può aiutare l'uomo a conoscere ciò che l'aspetta appena girato l'angolo, affinché non vi giunga impreparato; lo aiuta a rinnovare continuamente la speranza: domani, fra un mese eccetera potrà vedere risolto un grave problema, gli capiterà un colpo di fortuna e via dicendo.

Dunque questo è un argomento che riguarda quel qualcosa che sfugge al nostro controllo, quel qualcosa di pauroso che ci trascende, esulando nel contempo dai bisogni primari dell'uomo.

Sicuramente siamo in molti a chiederci sbalorditi come può essere che, già arrivati al terzo millennio, ancora dobbiamo assistere al sopravvivere della magia nella sua forma più bassa, più condannabile. Sensitivi così e basta, cartomanti, chiromanti, guaritori, chiaroveggenti, su su fino ai maghi che pare occupino il vertice di questa piramide assurda, tutto un proliferare che cresce nel fertile terreno dell'incertezza, della paura, della debolezza umana. Costoro hanno saputo adeguarsi ai tempi: non più antri con sibille dagli oracoli oscuri (sibillini), ma ambienti più o meno eleganti, ospitali, se non addirittura i mezzi di comunicazione più avanzati.

Un giorno telefonai a una maga, che vive nel mio stesso luogo di residenza, chiedendole se acconsentiva a rilasciarmi un'intervista; ed ella acconsentì di buon grado fissandomi un appuntamento di lì a un paio d'ore.

Che cosa m'ero aspettata di vedere non saprei; non certo la fattucchiera delle vignette, ma certamente qualcosa di più tipico di quello che vidi, senz'altro.

Invece maga Zenobia, che mi riceve sulla porta di un appartamento del primo piano in un piccolo condominio senza pretese, è una giovane donna bionda finta, con i capelli corti e rigidi, truccatissima, dai bei lineamenti e dal corpo piacevolmente morbido, come se ne possono vedere a centinaia che accompagnano i figli a scuola e che vanno a fare la spesa. La "mia" maga però ha l'aiuto domestico, si premura di farmi sapere:

– Entri, prego, e scusi il disordine: con le colf è un vero disastro. – Così dicendo mi fa strada verso una porta aperta subito a sinistra di un ingresso disadorno; mormoro un grazie anodino e mi trovo in una stanza di una quindicina di metri quadrati, arredata con pochi mobili incredibilmente dozzinali: due poltrone in similpelle color amaranto con un tavolino dal piano di vetro che poggia su un finto tronco di albero d'un inverosimile verde malachite, nella parte illuminata dalla finestra riparata da tende di marquisette; uno scrittoio con tre sedie, una di là e due di qua, ed uno stretto scaffale di metallo scomponibile con pochi libri e poche riviste, nella parte più riparata della stanza. Sbalestrata giro lo sguardo velocemente intorno nella speranza di trovare una nota di gusto: non il lampadario a tre lampadine riparate da tre pale di vetro smerigliato, non l'orribile marina incorniciata di legno intagliato e colorato d'argento, che mi fa venire in mente subito una catena di montaggio, verranno a consolarmi.

La mia ospite mi indica una sedia e lei stessa si aggiusta su quella al di là dello scrittoio.

Entro subito in argomento con la mia sfilza di domande numerate e carta e penna per annotare le risposte.

Qual è la sua specializzazione, signora?

Sono cartomante. Ho usato anche il pendolo, uso la sfera, esercito la pranoterapia; ma preferisco ricorrere alle carte.

C'è un mezzo più efficace di tutti gli altri?

– No. Mi dia dei sassi ed io saprò ugualmente predirle il futuro e aiutarla. Intendo dire che non è il mezzo quello che conta, bensì il feeling che riesco a creare con il cliente. Tramite questo feeling posso poi sprigionare la mia energia e capire ciò che devo fare. Ad esempio, se mi esce l'asso di fiori (porto questo esempio perché, come ripeto, uso quasi esclusivamente le carte) so che significa testa, ma poi tocca a me scoprire quale parte della testa duole al cliente qualora egli mi abbia interpellato sulla sua salute. Una volta individuato il punto posso lavorare per aiutarlo.

Lei ha nominato la sfera; quando la usa appare qualcosa dentro di essa?

No, assolutamente. Io cerco di creare l'atmosfera facendo il buio e restando con il solo lume di una candela. Del resto questo è importante anche per me, dato che ho bisogno di raccoglimento, altrimenti la mia mente frastornata darebbe solo risposte false. Come ripeto è solo la mia sensibilità, l'energia sprigionata che conta.

Crede nella medicina?

Senza dubbio. La medicina ha fatto tante cose; ci ha liberato dalla peste, per dirne una, ed io non mi sognerei mai di sostituirmi a un medico. Non mi va più la medicina quando riempie l'ammalato di farmaci mentre magari ha solo problemi di ordine psichico. In altre parole io lavoro su un piano umano. Mi sostituisco al medico di famiglia di trent'anni fa, il quale purtroppo è sparito.

Come si pone davanti alla psicanalisi?

Credo nella psicanalisi come ottimo mezzo di cura. Anch'io lavoro su questo principio.

Lei conta più clienti tra i giovani o tra i vecchi?

Da qualche anno a questa parte direi che i giovani si sono aperti molto. Comunque ho clienti sia tra i giovani sia tra gli anziani, perché i problemi li hanno tutti indipendentemente dall'età. Un giovane può sentirsi morire per una delusione d'amore così come un vecchio può sentirsi morire per la mancanza di sicurezza materiale.

Che cosa l'ha spinta a intraprendere questa carriera?

Il fascino dell'occulto che ho sempre subito; poi, ad un certo punto, ho scoperto di possedere delle facoltà straordinarie, così ho pensato di sfruttarle come lavoro.

Ammette che ci possano esistere imbroglioni tra i suoi colleghi?

Senz'altro, come in tutte le categorie.

Lei prima ha asserito di preferire la cartomanzia. Che cosa pensa dei guaritori che usano la pranoterapia?

Innanzitutto non esistono guaritori ma solo curatori. Noi curiamo e cerchiamo di alleviare il dolore, poi, se qualcuno guarisce, come è capitato anche a me di guarire qualcuno, tanto di guadagnato per tutti. Pratico anch'io la pranoterapia ma senza il contatto diretto delle mani. Infatti, per legge, chi non è medico non può mettere le mani sul corpo di un altro a scopo terapeutico. Lo posso fare, ad esempio, con persone amiche: allora è preferibile perché l'energia da me sprigionata entra direttamente e totalmente nel corpo dell'altro. Secondo me, oltretutto, il contatto ha anche un valore psicologico; si crea cioè un contatto umano con un'altra persona che può essere positivo.

Lei è credente?

Sì. Credo in un essere superiore estremamente buono; anche se non sono praticante e non credo nelle religioni. Per me, l'essere supremo che ci ha creato, chiunque sia, in qualunque modo lo si voglia chiamare, è soltanto buono. Sono gli uomini che compiono il male. Io sto bene, non ho problemi e non me ne creo, ho tutto; perché non dovrei credere in un essere buono?

Come minimo vorrei dire che è una grande spudorata; ma non lo faccio perché non è proprio il caso di polemizzare: non m'aspettavo altro da lei. Velocemente mi chiedo a quanti clienti propina la storiella e quanti, tra costoro, se la portano via come un prezioso vademecum. Dico:

Beata lei! Le auguro che duri. Un'altra domanda, se permette: occorrono studi speciali per intraprendere questa carriera?

No, è sufficiente la terza media. Poi si seguono dei corsi, ma non esiste un ordine di studi apposito.

Ancora una cosa: lei si cura da sola facendosi le carte o altro?

No, perché non sarei obiettiva. Leggerei nelle carte solo ciò che mi fa comodo. Se, per esempio, ho una ciste prima cerco di farla sparire con la mente; se non ci riesco ricorro al medico.

Ah.

Intanto la donna accenna ad alzarsi ; ma subito ci ripensa:

Senta, se pubblica questa intervista me ne farà avere una copia, vero?

Non c'è dubbio; ma voglio essere sincera: non è che abbia molta speranza che questo avvenga.

Be', speriamolo. Ci terrei molto per alcune mie ragioni.

Su questa promessa, assolutamente sincera da parte mia, saluto la signora la quale ora ho l'impressione che mi osservi con una punta di ostilità, e me ne torno a casa più scettica che mai nei confronti di questa categoria di persone, e più arrabbiata per la loro mancanza totale di scrupoli che non le fa indietreggiare davanti a nulla. È bianca o nera questa magia che non esita a speculare sul dolore, la debolezza, la disperazione del prossimo?