Celeste Chiappani Loda

Lungo il binario - Rubrica culturale

L'uso della cosiddetta parolaccia nel dialetto

Ho scritto in “Dialetto e arte della scrittura” che il dialetto bresciano è una lingua povera; esso inoltre ricorre spessissimo a termini che noi oggi definiamo parolacce. In questo caso diciamo che il dialetto non si è evoluto, come invece ha fatto l'italiano. Proprio per tale ragione ho posto in apertura al mio citato studio sul dialetto della Bassa bresciana un Chiarimento. Qui lo vorrei proporre integralmente nella convinzione che possa dare almeno un'idea del divario che attualmente esiste tra vernacolo e lingua.

 

Nelle pagine che seguono si incontreranno espressioni volgari, grossolane. Confesso che non è stata una decisione facile la mia. Scrivere o no le volgarità sotto forma di proverbi, storielle eccetera? Alla fine trovai una giustificazione che non direi pretestuosa.

Questo libro non si impernia sulla libera narrazione di vicende più o meno verosimili dove la scelta dei termini è disancorata da ogni legame; ma esso vuole essere lo specchio di una cultura diciamo del tutto scomparsa.

Sappiamo che ogni spazio temporale fa parte della Storia; e la Storia, a mio avviso, ha bisogno di tutto lo spirito oggettivo di cui è capace l'uomo. In questo lavoro mi sono attenuta a tale convinzione cercando di vincere il fastidio che a me deriva dal leggere o dall'udire frasi volgari, parole scurrili, soprattutto quando esse sono totalmente gratuite.

Non me ne voglia dunque il lettore se tante volte gli accadrà di sentirsi urtato per la crudezza di linguaggio al quale – salvo in casi più o meno sporadici, dove viene usato erroneamente con intenti protestatari – non siamo più abituati.

Tuttavia mi sono posta una domanda dopo la decisione presa di mantenermi fedele alla parlata originale: è giusto che ci formalizziamo per questo? E mi son data una risposta che mi soddisfa: anche se il linguaggio è grossolano racchiude in sé un'innocenza data proprio dal fatto che quelle e soltanto quelle erano le parole che permettevano la comunicazione interpersonale; l'espressione di ogni moto dell'animo stimolato dalle pulsioni cui esso va soggetto; l'estrinsecamento delle categorie filosofiche allo stato embrionale che ognuno di noi porta dentro di sé come bagaglio congenito; in sintesi la possibilità dell'uomo di esprimersi nella sua peculiarità di "sinolo di materia e forma". Questo penso, e accetto il fatto senza né condannare né incensare.

Inoltre, nel presente lavoro ho scientemente usato la forma più antica del vernacolo, prevalentemente contadinesca, quindi con una sua pregnante genuinità non ancora intaccata da sofisticazioni snobistiche e da neologismi.

Infine il mio intento è stato quello di ricreare un'atmosfera scomparsa sì da un punto di vista epidermico; ma che forse molti di noi, a livello subliminale, portano dentro di sé come ombre o come scintille; quanto meno un'atmosfera che potrebbe offrire più d'una chiave di lettura, quindi qualche spunto di meditazione.