Celeste Chiappani Loda

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Biblioteca e scarabocchi

L'indignazione di Bellezza

Biblioteca e scarabocchi

pubblicato su La Roggia, 1981

La Biblioteca civica di Desio, secondo me, da un punto di vista strettamente di movimento – consultazione libri, funziona a dovere: gli studenti possono trovarvi ottimo materiale e i lettori normali anche, potendo, questi ultimi, giostrare in modo ampio tra letture qualitativamente molto diverse tra di loro.

Come a dire, perciò, che i desiani possono ritenersi soddisfatti di questo bene comune, di questo patrimonio appartenente alla collettività; la quale collettività, in santa armonia, lo deve mantenere e difendere.

Ecco uno slogan di cui dovremmo sentirci stomacati, mi riferisco alle ultime due righe. Slogan che, di questi tempi ove parole come "libertà" e "democrazia" ci riempiono la bocca, ci viene propinato in tutte le salse: tanto è vero che quasi mi sento offesa quando me lo sciorinano sotto il naso. Che diamine! Dai e ridai anche il più bamba la lezione la impara, alla fine.

Così pensavo, invece mi devo ricredere perché c’è una sorpresina. Ho qui davanti un paio di libri di critica letteraria, presi alla Biblioteca, appunto: La Poesia del Decadentismo – Pascoli e D’Annunzio e I Canti del Leopardi. Ammesso – ci credo poco – che costituisca un caso atipico, è ugualmente condannabile e sintomatico questo che vado a denunciare. Le pagine dei libri in questione sono scrupolosamente segnate con matita, con pennarello verde e con biro blu. Il primo volume, inoltre, è ricco di noticine a margine ed ha l’angolo superiore sinistro di pagina 29 tutto "bluettato" di biro.

Dall’insieme traggo due conclusioni, l’altra all’una conseguente: gli scarabocchioni di turno frequentano scuole di ordine superiore; gli scarabocchioni di turno sono doppiamente responsabili.

Concludendo, se io non ho sin qui tutto frainteso, penso che farebbe al caso nostro il repetita iuvant dei progenitori romani, i quali erano sì emeriti mascalzoni, ma in quanto a spirito pratico ne avevano tanto da poterne regalare. Repetita iuvant, dicevo dove l’aggettivo sostantivato riguarda i concetti di cui parlavo sopra e che pensavo dovessero uscire da tutti i pori di tanto ne siamo saturi; mentre il verbo dovrebbe agire sui pargoli frequentatori dell’asilo nido, giusto per essere sicuri che il male viene preso alle radici visto che le scuole superiori non hanno più presa sulle menti già formate.

Allora si potrebbe insegnare ai bambini, in termini al loro livello di comprensione, che libertà non significa licenza: ricordati, Carletto, che non puoi ficcare le dita negli occhi di Marcuccio solo perché non ti abbiamo legato le mani; e tu, Lauretta, bada bene di non strappare i capelli a Mariannina per il fatto che ha dichiarato di preferire la pera alla mela...

Sperando in bene.

L'indignazione di Bellezza

pubblicato su Il Giorno e su Controcampo

Moltissimi scrivono poesie, e c'è chi di ciò si lagna. Tra costoro Dario Bellezza che, in un'intervista rilasciata anni fa a Il Giorno, asserisce, nudo e crudo, che ciascuno dovrebbe fare il proprio mestiere: che la casalinga spignatti, che il medico scriva ricette, che il calzolaio incolli suola a tomaia…

Ma chiariamo subito, al Poeta romano il fatto che un mucchio di gente scriva poesie non importa come fatto in sé; si arrabbia in un secondo tempo, quando cioè, questa fiumana di gente si mette a leggere, gratis, le proprie opere. Secondo Bellezza tanto meglio sarebbe invece che ai Poeti veri, ai Poeti consacrati con tutti i crismi dell'ufficialità, fossero concessi dei récital remunerativi. Può darsi che abbia ragione, non sto a dire, però spero che mi permetta di opporgli un'argomentazione piccina piccina. Ecco, secondo me possono essere svariati i motivi che spingono un tizio a far poesia: da un sincero bisogno di esternare ciò che Amore (in senso assai lato) "ditta dentro", alla ricerca d'una risposta agli urticanti interrogativi esistenziali, alla sete di gloria tout court.

Che poi la quasi totalità di questi sedicenti poeti non conosca i propri limiti e si macchi di millantato credito è un altro paio di maniche.

Ma proprio a queste… maniche i Poeti con la P maiuscola, che pubblicano non a loro spese, che interessano i mass-media, che con i loro versi, forse, potrebbero campare la vita (anche mangiando solo "rape e fagioli", ma in piena libertà, come augurava a se stesso l'Ariosto), dovrebbero trarre soddisfazione sufficiente da non sentire il bisogno di prendersela tanto con la "zavorra". Che male fanno, poveretti, costoro, se si accontentano di leggere i loro scritti ad una radio privata, magari alle cinque del mattino, la quale ha ascoltatori per un raggio di due-trecento metri; oppure si accontentano di scriverli questi loro versi nell'ultimo angolo dell'ultima pagina del Bollettino parrocchiale?

 

Questa la mia controprotesta apparsa nella rubrica Lettere al Direttore de Il Giorno.

Ci fu un periodo durante il quale mi avvalsi spesso di questo mezzo per esprimere con sarcasmo o con infuocati accenti d'indignazione il mio disapprovare leggi ritenute ingiuste, decisioni a livello comunale ritenute assurde, comportamento, a dir poco, amorale di personaggi politici e non, azioni del singolo che possano danneggiare la collettività. In conclusione lancia in resta e carica a testa bassa in un'accanita lotta senza quartiere, ma totalmente inutile contro tutto ciò che può essere etichettato sotto il nome di ingiustizia. La quale, purtroppo, rappresenta il tessuto connettivo della condizione umana.

E fin qui nulla di più normale che ricevere di tanto in tanto plauso o disapprovazione da parte di altri lettori, sempre attraverso la stessa rubrica, essendo, in genere quelli da me trattati, argomenti di carattere generale, più o meno recepiti da tutti.

Ma quale fu la mia sorpresa, dopo la lettera soprascritta, ricevere addirittura due telefonate. Una da parte di una signora di Bergamo, dalla voce coltivata, che mi manifestò addirittura gratitudine per quanto avevo scritto, dandomi l'impressione che, senza volerlo, le avessi fatto da portavoce.

L'altra telefonata invece mi venne da Lissone (Milano). La voce di questa signora, al contrario di quella della prima, era rozza ed il suo linguaggio piuttosto dimesso. Linguaggio che ella inframmezzò con vocaboli del dialetto brianzolo. Anche questa signora colse il nocciolo della questione e concluse il suo breve discorso con un indignato: "Ma cosa vuole questo Bellezza e Bellezza. Non gli basta quello che ha? Che lasci in pace gli altri e che stia zitto!"

Non aggiungo commenti.